Grafici che contano: l’ultimo decennio americano
I titoli azionari statunitensi hanno sovraperformato il resto del mondo nei dieci anni trascorsi dalla crisi. Ma c'è una preoccupante interferenza tra la paura dei mercati emergenti e l'avidità americana. John Authers si domanda se sia sostenibile. E’ passato esattamente un decennio dalla scorsa crisi finanziaria del 2008 che, nata dal mercato azionario americano, si è poi diffusa in tutto il resto del mondo, causando problematiche che ancora oggi si percepiscono.
Il grafico in blu mostra l’andamento dell’indice S&P500, l’indicatore più significativo del mercato azionario americano, diviso per l’indice MSCI del resto del mondo. Questo indicatore era alla quota 100 durante il 2008 e oggi ha raddoppiato il suo valore.
Il motore principale di questo andamento risiede nelle operazioni di Quantitative Easing (acquisto di titoli) effettuate dalla Fed che in tempo di crisi si dimostrò molto più entusiasta nell’acquisto di assets sul mercato azionario. Un secondo motore della crescita dell’indicatore sta nelle cosiddette “Big Tech” ovvero tutte le grandi compagnie americane attive nell’area della tecnologia che attualmente si situano nella Silicon Valley.
Il grafico in rosso indica l’andamento dell’indice S&P500 escludendo le Tech Companies, diviso l’indice relativo al resto del mondo. Nonostante l’esclusione di un’area importante dell’economia, l’indice mostra una crescita dell’80% rispetto al 2008. Un’altra caratteristica del mercato americano in questo decennio è la coesistenza tra “greed and fear” (eccitazione e paura).